Pubblichiamo di seguito la lettera, pubblicata sul quotidiano "La Sicilia" del 21 agosto, con cui il responsabile della sezione Enpa di Catania, Cataldo Paradiso, replica a un lettore che avevo suggerito di risolvere il problema del randagismo ricorrendo all'eutanasia dei "trovatelli".
Spettabile redazione,
leggo con stupore, sull’odierna rubrica “Lo dico La Sicilia” del Vostro autorevole quotidiano, la lettera dal titolo “I cani del porto” con cui un vostro lettore propone una soluzione quanto mai crudele, oltre che illegale, al problema del randagismo: lo sterminio dei randagi per eutanasia. A lasciare sconcertati è, non soltanto la proposta in sé – colgo l’occasione per rammentare ai lettori che l’uccisione di animali è un reato a tutti gli effetti e, come tale, è punito dall’art. 544 bis del c.p. – ma la stessa argomentazione che la sostiene. Indubbiamente l’estensore della lettera dimostra una certa conoscenza della materia quando cita la legge 281 del 1991 e i successivi provvedimenti delle autorità regionali siciliane che peraltro accusa di un’indifferente inerzia nei confronti del fenomeno. Tuttavia proprio sulla base di tale competenza mi sarei aspettato conclusioni ben differenti da quelle suggerite. Il lettore, infatti, contraddice sé stesso quando si domanda perché mai “questi innocenti animali debbano assoggettarsi a questa vita grama fatta di stenti, di sofferenze e di morte” e, prendendo atto delle colpevoli lacune istituzionali, arriva alla conclusione che occorre evitare a “questi innocenti le sofferenze e la morte che soltanto sappiamo dare loro” affidandoli a “mani di compassionevoli veterinari che possano farli addormentare dando loro una dolce morte”. Non è mia intenzione negare l’esistenza del problema randagismo che in Sicilia è stato all’origine di alcune recenti tragedie – penso a quanto accaduto a Ragusa e ad Acireale – mi domando tuttavia chi sia il vero responsabile di questa situazione? Gli animali? O non sono piuttosto le istituzioni che, disattendendo le normative nazionali e regionali, abbandonano i randagi a sé stessi oppure li affidano a persone inadatte a custodirli? Non sono forse gli stessi cittadini che adottano un cane con troppa leggerezza, salvo poi disfarsene quando scompare l’entusiasmo iniziale, contravvenendo tra l’altro all’obbligo di iscriverlo all’anagrafe canina? E cosa dire, infine di quei personaggi senza scrupoli che, seguendo una pratica incompatibile con il nostro livello di civiltà, addestrano gli animali all’aggressività per impiegarli nei combattimenti clandestini? Al lettore e a quanti altri fossero tentati di risolvere il problema randagismo nascondendo la testa sotto la sabbia, ricordo che, per evitare pericolose regressioni, le conquiste civili devono essere riaffermate quotidianamente senza mai rinunciare ad esse e non – come scrive l’autore della lettera - “scendendo uno scalino nella scala della civiltà che forse non abbiamo mai avuto, ritornando a prima del 1991”. L’illegalità si combatte, e si vince, solo con gli strumenti previsti dal diritto e con la coscienza civile; ogni soluzione contrastante con il nostro ordinamento giuridico, e che abbia la pretesa di far pagare alle stesse vittime il prezzo della loro innocenza, è, come tale, criminogena. (21 agosto)
Fonte: enpa.it
lunedì 24 agosto 2009
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